Per territorio si dovrebbe intendere l’ambito nazionale, ma essendo la mia una realtà che si muove nel bacino tra Schio, Thiene, Marostica e Bassano devo esprimermi relativamente ad esso. E ne ho già un sacco. Non sono certamente il genio di turno a dire che le aziende stanno soffrendo.
La vendita di beni, la vendita di prodotti, vuoi per internet, vuoi per la crisi, vuoi per i centri commerciali, vuoi perché è così, si sta spostando per la maggior parte sui motori di ricerca. Proprio “perché è così” si dovrebbe agire.Capisco, in momenti “cattivi e bui” si fa fatica ad essere ottimisti e prendere decisioni che possono sembrare inutili ed azzardate. Ma, se non siete un cane da caccia, un Setter, fermo da tanto e pronto al momento giusto a saltare addosso alla preda, sappiate che l’immobilismo non paga.
Mi capita spesso, anzi no, meno spesso di una volta comunque, di avere incontri con (possibili) clienti, di prodotti o servizi, che, dati alla mano riportano situazioni commercialmente negative. Eppure, di fronte a tale realtà l’immobilismo regna sovrano. Ho notato che 8 volte su 10 proprio chi più dovrebbe muoversi meno si muove, perdendo opportunità.
Dicevo “…, meno spesso di una volta comunque…” proprio perché preferisco rivolgere le mie attenzioni lavorative ad aziende predisposte, pronte ed orientate al mutamento o comunque ad un rinnovamento, cambiamento, chiamatelo come vi pare. L’importante è che si vada avanti.
Del resto, la mia stessa vita lavorativa ne è un esempio. Ho preso un trenino, ho ridisegnato il mio futuro e mi sto rapidamente ricostruendo. Vero. Ho un’attività già aperta, avviata in parallelo alla principale, e volutamente staccata fisicamente da quella di allora, ancora 4 anni fa; un bacino di clienti dal quale attingere e spingere; delle nuove collaboratrici senza le quali competenze, strumenti, capacità e disponibilità non potrei presentarmi ad aziende che richiedono una strategia digitale; mi piace istruirmi ed ancor di più godo nel mettermi in discussione ed in gioco.
Rimane il fatto che mi sono mosso, fermo dov’ero sarei morto. Questo excursus sulla mia vita è solo un esempio come tanti altri, se siete una azienda B2B business to o B2C, il mondo gira e se gira da un’altra parte rispetto la nostra dobbiamo invertire la tendenza.
Alla Exxmedia ce lo chiediamo spesso se promuovere tale attività come modello di business. La diffidenza deriva dal fatto che oggi tutti (scusate, molti, come mi ha insegnato il buon Boi) parlano di vendita on line, spesso senza conoscerne granché ed, altrettanto spesso, senza conoscerne le complessità dell’ardua impresa che questa riassume. Per tentare di spiegare la complessità dell’e-commerce dobbiamo scomporlo in più parti ed analizzarle una ad una:
– livello del prodotto: naturale, ma sbagliato, pensare che l’e-commerce sia la traduzione online della vendita tradizionale. Vendiamo una foto, non il prodotto in senso fisico e quindi bisogna approfondire nei dettagli ciò che si vende e tradurlo per il web.
– qualità del brand: dare un’identità alla propria azienda pensando ai valori differenzianti usando il giusto tono per il pubblico di riferimento.
– aspetto tecnico: affidarsi alle persone giuste è importante. Ve lo posso assicurare, io stesso ho pagato sconti per aver scelto il prezzo rispetto alla qualità del progetto. È una parte fondamentale per la riuscita dell’impresa.
– qualità e quantità dei dati: non sono sufficienti delle foto. Spesso siamo portati a pensare che la gente sappia di cosa parliamo, mentre quelli che conoscono il prodotto siamo solo noi. Usiamo testi appropriati e con il giusto linguaggio. Se il nostro pubblico è anche non-tecnico, usare un linguaggio sbagliato ci taglierà una fetta di clienti possibili.
– qualità del pagamento: vi stupirà sapere che il 70% dell’abbandono del carrello da parte dei clienti è dovuto alla complessità del sistema di pagamento. La velocità nell’eseguire la transazione è un’arma che fa la differenza.
– logistica: pochi pensano allo stoccaggio dei prodotti, a dove impacchettarli e all’abbonamento con un corriere. Quando si dice di aspetti secondari, ma non troppo.
– livello dei contenuti: il problema più grande, almeno per le mie esperienze. Si pensa che una volta postato il prodotto gli utenti arrivino di loro. Se non abbiamo un qualcosa che li attiri al nostro sito, come pensiamo possano arrivarci? Siamo in una nicchia? Siamo la Apple? Produrre contenuti di qualità ed ottimizzati per la SEO è la partenza per qualsiasi strategia online.
– i touchpoint: scegliere le giuste piattaforme dove essere presenti con i contenuti in modo da creare un percorso “facile” per l’utente.
– livello dei dati: in questo caso per “dato” intendiamo i numeri che nascono dalle azioni degli utenti. Analisi e statistiche per capire come ci stiamo muovendo e come lo fanno i nostri visitatori/clienti.
– la sostenibilità: inteso come possibilità di sostenere il percorso prefissato e le sue tappe.
Ad onore del vero fino a qualche tempo fa non ero così ben disposto verso una forma di commercio elettronico, se non da parte di aziende solidamente strutturate, dove per “strutturate” le intendevo composte da almeno una ventina di dipendenti, un fatturato a sette cifre ed un magazzino grande quanto il Duomo di Schio. Anche lì mi sono ricreduto, anche le piccole realtà, a patto di certi criteri da tenere ben fermi, possono permettersi, anzi devono, devono, devono, presentarsi sotto forma diversa ai loro (e non ancora) clienti. Ormai i costi per il commercio online sono alla portata di qualsiasi azienda, con strumenti open source che possono essere più che soddisfacenti per le vendite online, e l’attività di web marketing è necessaria altrettanto (anche le Ferrari abbisognano di benzina), e deve essere presente.
I negozi online sono aperti 24 ore, 7 giorni su 7, eliminano molti costi (anche se in parte vengono sostituiti da altri, ma solo in piccola parte), permettono di fare investimenti limitati e capire le tendenze di mercato prima di riempire il magazzino, pagamenti anticipati ed uso della carta di credito.
Guardiamo un po’ le statistiche del mercato on line?
Chiediamo in prestito i dati a Casaleggio Associati, vedi il report.
Fatturato e-commerce in Italia e crescita annuale:
Attenzione: l’ho detto anche sopra, ma lo ribadisco: questo non significa “apro un e-commerce e risolvo il problema”. Sempre da Casaleggio Associati: “L’e-commerce italiano è uno dei mercati con maggiore potenzialità. Lo dimostra il confronto con i mercati esteri che nonostante in Italia stia continuando a crescere a doppia cifra ogni anno, questo del 18%, la penetrazione sul mercato complessivo è ancora molto distante dagli altri Paesi nordeuropei”. Interessante che la maggior parte delle aziende che operano online sono per il 62% Imprese Individuali, il 32% Società di Capitale , il 6% Società di Persone e lo 0,94% sotto altre forme.
I numeri
Nel 2018 il mercato e-commerce in Italia ha generato un fatturato superiore ai 40 miliardi di euro, con un + 18% rispetto al 2017, grazie al 62% della popolazione italiana, circa 38 milioni, che compra online e si prevede che entro il 2023 si arriverà al 65%.
I settori
Il “tempo libero” è il settore che continua a detenere la fetta più grande del fatturato e-commerce (41,3%), poi viene il “turismo” (28%), i “centri commerciali”, grazie soprattutto ai Brand stranieri, continuano la loro crescita (+39%), quindi seguono le “assicurazioni” (4,9%), il settore “elettronica” (3,3%), “alimentare” (2,8%), “moda” (2,2%), “editoria” (1,9%), “casa e arredamento” (0,8%) e “salute e bellezza” (0,3%).
Aziende iscritte
Il numero di iscrizioni al Registro Imprese aumenta di anno in anno e nell’ultimo quinquennio, ha portato lo stock delle aziende del settore a crescere complessivamente del 51% (dalle 13.321 della fine del 2014), con un aumento medio di 1.360 unità all’anno.
Micro e piccole imprese attive nel commercio online
In Italia le piccole imprese che vendono online sono aumentate del 2%, raggiungendo quota 9%, mentre, anche se il divario è in diminuzione, la media europea è del 15%. Tra le ragioni che producono di più la Lombardia per il 36,76%, l’Umbria per il 13,63%, poi Campania, Lazio ed Emilia Romagna con il 6% circa ciascuna. Le imprese più portate a vendere online appartengono soprattutto al settore Servizi (14%), Manifatturiero (4%) e Costruzioni (3%).
Il 72% delle piccole imprese attive sull’e-commerce vende dal proprio sito, mentre il 67% usufruisce di marketplace, con un aumento del 10% rispetto allo scorso anno, anche se molte optano per entrambe le soluzioni.
Interessante scoprire, grazie a Confartigianato che ha effettuato un’indagine su un campione di 400 piccole imprese a vocazione artigianale che Il 12% di queste sono attive sul web e vende online, il 72% è attivo sul web ma non vende online e il 16% non pratica nessuna attività in rete. C’è molto da fare.
A giustificazione dell’intraprendere la vendita tramite il sito web, va rilevato che rispetto al fatturato, il 55% delle imprese che vende online rileva un aumento nella produzione, fino al 6% in più della media.
Strategie e trend
Come abbiamo detto è necessario definire una corretta strategia in ambito e-commerce, fondamentale per il successo del proprio business. Imprescindibili i Social Media, Facebook in primis, infatti l’87% di chi compra online dichiara essere influenzato dai social media per gli acquisti e, o forse purtroppo, solamente il 40% dei negozi utilizza i social nelle loro strategie di marketing.
Multicanalità
Il 73% degli e-consumatori dicono di utilizzare più canali per entrare in contatto con i brand e i loro prodotti. I modi sono molteplici, i social media, e-commerce proprietario, marketplace, store fisico, e-mail, chatbot ed altro. Per questa ragione i brand stanno lavorando per coprire tutte le possibilità che gli utenti sfruttano, anche perché questa tipologia di clienti normalmente spende in media il 10% in più dei clienti abituati a usare un solo canale.
Gli store fisici si mescolano al digitale e proseguono il loro percorso di cambiamento fornendo una digital experience in store, spesso grazie a supporti digitali, realtà aumentata o virtuale.
I rivenditori omnichannel hanno registrato un aumento dei ricavi del 15-35%, un aumento della redditività dei clienti loyalty del 5-10% e un lifetime value più alto del 30% rispetto agli store con strategia monocanale.
Il Mobile
Acquistare tramite il cellulare è una pratica in costante aumento. Necessario il sito e commerce sia Mobile Friendly. Nel 2018 la percentuale di fatturato mobile sul totale delle vendite online è stata in media del 34%, il 7% in più rispetto allo scorso anno.
L’80% degli e-consumatori dichiara che le esperienze personalizzate rendono più propensi ad acquistare dalla stessa azienda piuttosto che da un’altra e l‘88% di queste ne sono convinte.
Rispetto alla consegna, più del 60% degli italiani preferiscono la consegna a casa ed in giornata. Seguono l’home delivery in mailbox e la consegna serale, la consegna a lavoro, il ritiro in un punto di distribuzione, il ritiro presso lo store fisico e il locker.
Ben il 37% degli italiani è disposto a pagare per avere una consegna più rapida e il 59% considera importante poter cambiare la data o l’ora di consegna. Rispetto ai resi il 43% degli intervistati dichiara di aver effettuato almeno un reso durante lo scorso anno.
I consumatori, sempre più attenti all’ambiente e al sociale, pretendono molta attenzione da parte dei brand in tutte le fasi, dal processo produttivo ai materiali, dalla distribuzione all’imballaggio.
Guardate Adidas, partner di Parley for the Oceans dal 2015, ha recentemente dichiarato di aver prodotto oltre 11 milioni di paia di scarpe con plastica ripescata negli oceani e inoltre, grazie ad un’attenta politica di sostenibilità, ha risparmiato circa 40 tonnellate di plastica tra uffici e negozi nel corso del 2018. Così come Adidas, altri numerosi brand che vendono online, negli anni hanno sviluppato linee sostenibili. Bravi.
L’e-commerce incide in modo importante sull’aumento dei cartoni di imballaggio da differenziare e riciclare: nel 2018 si sono registrate 260 milioni di spedizioni e nella sola città di Milano si registra un aumento del 6% in quota di cartone raccolta.
L’86% di circa 2.000 consumatori intervistati sostiene di preoccuparsi per la sostenibilità e il 79% preferisce prodotti con imballaggi sostenibili, di cui il 27% cerca prodotti che siano in imballaggi sostenibili e il 21% è disposto a pagare di più per prodotti in imballaggi sostenibili. Alcuni Brand, hanno da tempo creato il proprio packaging sostenibile. Amazon ha anche lanciato il progetto Shipment Zero con l’obiettivo di ridurre del 50% le emissioni legate alle spedizioni entro il prossimo decennio.
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